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1. Contesto del Caso
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha esaminato il caso nell’ambito della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), concentrandosi sui ricorsi presentati ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3 della Convenzione, riguardo alla legalità e alla proporzionalità della misura di sicurezza personale della “detenzione preventiva” imposta al richiedente.
La misura di sicurezza è stata disposta come parte di un procedimento penale nei confronti del richiedente, accusato di abuso d’ufficio. Il Tribunale di Primo Grado ha motivato la sua decisione sostenendo che l’accusa non aveva ancora raccolto tutte le prove e che esisteva il rischio che il richiedente, se indagato in stato di libertà, manipolasse le prove e influenzasse i testimoni.

2. Le Pretese delle Parti
Il richiedente ha sostenuto che, al momento del suo arresto, era stato destituito dal suo incarico diversi mesi prima e, di conseguenza, non aveva la possibilità di manipolare i dati del fascicolo di gara. Ha aggiunto che i sospetti nei suoi confronti si basavano esclusivamente su documenti precedentemente sequestrati dalla procura, escludendo ogni rischio di interferenza con le prove o con i testimoni.
Per quanto riguarda il rischio di fuga, ha dichiarato di essersi consegnato spontaneamente alle autorità e che la confisca del passaporto o l’applicazione di misure meno restrittive sarebbero state sufficienti a garantire la sua presenza durante il processo.
La Corte d’Appello ha rigettato queste pretese, ritenendo che il richiedente avesse legami diretti con le vittime del reato presunto, con la parte favoreggiata nella gara e con altri sospetti, il che avrebbe potuto portare a un coordinamento tra di loro per manipolare le prove.

La Corte giunse alla conclusione che le misure alternative, come il divieto di lasciare il paese, non sarebbero state sufficienti a neutralizzare questi rischi. Inoltre, la Corte d’Appello ha qualificato la personalità del richiedente come “particolarmente pericolosa”, considerando la natura dei reati presunti – abuso d’ufficio e malversazione di fondi pubblici – che prevedevano una pena fino a 7 anni di carcere.
– I successivi ricorsi del richiedente sono stati respinti dalle giurisdizioni nazionali, le quali hanno sostenuto che non vi fosse alcun cambiamento nelle condizioni che avevano portato all’imposizione della misura della “detenzione preventiva”.

3. Analisi e Motivazione della Corte.
Il richiedente ha presentato ricorso ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1(c) e 3 della CEDU, sostenendo che non vi fosse una base giuridica valida per il suo arresto preventivo e che la durata della misura fosse stata sproporzionata.
La CEDU ha sottolineato che la persistenza di un “ragionevole dubbio” è una condizione sine qua non per la validità della misura “arresto preventivo”, ma con il passare del tempo tale base non è più sufficiente. In questo contesto, la Corte ha esaminato se le altre motivazioni fornite dalle autorità giuridiche continuassero a giustificare la privazione della libertà del richiedente.
Analizzando le sue precedenti pratiche e i dati del caso, la CEDU ha concluso che le motivazioni fornite dalle autorità nazionali non erano sufficienti a giustificare il mantenimento del richiedente in detenzione preventiva per il periodo in questione. La Corte ha inoltre rilevato che le autorità nazionali non avevano dimostrato una “particolare diligenza” nello sviluppo del procedimento giuridico, il che costituiva una violazione dell’articolo 5, paragrafo 3 della Convenzione.